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Manafregoli della Garfagnana


Il tema: “Colori e sapori d’autunno”

“Colori e sapori d’autunno” è il tema di questo mese dell’Italia nel piatto. Archiviate ormai le vivaci cromie dell’estate, attutiti gli intensi sapori di frutta e ortaggi estivi, così pregni del calore del sole, ci siamo trovati, come tutti gli anni, di fronte a quel ‘sole smarrito’ (cit. V. Cardarelli) e a quel pallido cielo che preludono al rigore invernale. Anche le rare giornate soleggiate sono più tiepide, soltanto uno sbiadito ricordo della calura estiva. Eppure, l’autunno ha il suo fascino. I prodotti della terra lo esprimono con incredibili pennellate di colori e sinfonie di sapori.

Un tempo, quando l’uomo viveva molto più a contatto (e nel rispetto) della natura, seguendo i ritmi naturali delle stagioni, senza frigorifero, senza congelatore, ma solo con metodi di conservazione come l’essiccatura o la salatura, i prodotti freschi autunnali erano soltanto frutta e verdura che, per i loro colori, ricordavano le tonalità del paesaggio circostante. Pensate ai funghi, alle castagne, alla zucca e alle melagrane, così in sintonia col colore marezzato del foglie degli alberi quando sono in via di essiccazione.

I piatti tradizionali dell’autunno non smentiscono questa impressione. Ne trovate una carrellata qui in fondo e nell’articolo odierno del blog “L’Italia nel piatto”. Per la Toscana, ho fatto i manafregoli della Garfagnana, a base di farina di castagne, una ricetta di nicchia, sconosciuta a molti toscani. La Garfagnana è una zona della Toscana nord-occidentale in provincia di Lucca, al confine con la provincia di Modena, ricca di castagneti. Ma della materia prima parlerò dopo. Passo subito a descrivere la ricetta.



La ricetta: i manafregoli

Invece del solito castagnaccio toscano (ricetta qui) o delle altre preparazioni a base di farina di castagne o marroni, come i necci (vedi qui) o la torta di castagne, ho preparato i più rari manafregoli della Garfagnana: è un nome plurale, non si sa perché, visto che non sono gnocchetti, ma è una specie di polentina calda su cui si versano latte o panna fredda (non montata), in modo da creare un piacevolissimo contrasto. Ottimi anche con la ricotta. Una volta venivano consumati perfino a colazione dalle popolazioni appenniniche che in autunno e inverno non avevano altri alimenti energetici a disposizione. Venivano preparati nel paiolo di rame, come la polenta di granturco. Da una frase contenuta in un romanzo del 1922, Moscardino, di Enrico Pea, scrittore originario di Serravezza (Lucca), si capisce l'importanza di questo alimento: “Ti ho allevata, si può dire, coi manifregoli e la puppaiola” (puppaiola è il biberon). Così dice un prete alla donna che ha allevato e che gli ha fatto da serva.



Ho precisato che questi manafregoli sono “della Garfagnana”, perché basta spostarsi di poco e il nome cambia. Varianti rispetto a manafregoli, sono i nomi menafregoli (a Barga), manifregoli (in Versilia, com si legge in Pea), magnafregolimagnifregoli. Si aggiungono i manafatoli (zona Coreglia Antelminelli e la media valle del Serchio), manifati (a Montignoso, provincia di Massa), manufatoli o menni (nella montagna pistoiese, a Maresca e Cutigliano). Nomi diversi sono brugiaioli (a Gallicano, in Garfagnana) e brigiaglioli, e infine il più comprensibile nome di farinata di neccio, cioè di castagne (per esempio a Pescaglia, provincia di Lucca). Sinceramente però, non so dirvi se queste preparazioni siano esattamente uguali e se vengano condite tutte nello stesso modo, con latte o panna. È certo che da qualche parte il condimento è diverso: brodo di carne e carne di maiale croccante, come il rigatino. Alcune potrebbero essere a base di farina di granturco.

Quanto alle notizie sui manafregoli e sulla stessa ricetta, devo moltissimo a Ezio Lucchesi, amministratore del gruppo Facebook “mi mà cucinava così”, creato per raccogliere ricette della Lucchesia, della Garfagnana e della Versilia. Anche altri membri del gruppo mi hanno dato interessanti informazioni: Patrizia Silvestri e Matilde Toni.

INGREDIENTI per 4 persone

400 g di farina di castagne o di marroni
1300 ml di acqua
1 pizzico di sale

4 bicchieri di latte o crema di latte (panna liquida)

Ho messo sopra anche scorza d’arancia candita, rosmarino e fave di cacao tritate, che però non sono nella ricetta tradizionale. Ecco qui sotto un impiattamento 'moderno'.



PROCEDIMENTO

– Portare a ebollizione 1200 ml di acqua col pizzico di sale.
– Versarvi a pioggia la farina di castagne o marroni setacciata, girando all'inizio con una frusta, per evitare di fare grumi.
– Far cuocere per mezz’ora a fuoco bassissimo, continuando a mescolare con un cucchiaio di legno. All’inizio la farina opporrà un po’ di resistenza, ma, andando avanti, si ammorbidirà. Se necessario, aggiungere il resto dell'acqua.
– Versare nelle scodelle e mettervi sopra il latte o la crema di latte fredda o, se si preferisce, la ricotta.

Un'alternativa al rosmarino potrebbe essere il timo, chiamato pepolino a Firenze e peporino proprio in Lucchesia.




Una volta era il piatto unico delle popolazioni appenniniche. Ora, se diminuiamo un po’ le dosi, può diventare un gustoso dessert, talmente antico e dimenticato, da apparire perfino innovativo.

Dopo la ricetta, ecco qualche notizia sulla materia prima.


Castagne e marroni in Toscana

Castagna e marrone sono frutti dello stesso albero, ma hanno caratteristiche diverse. L’albero dei marroni non esiste in natura, è un cultivar, cioè un castagno innestato. In un riccio possono stare fino a 7 castagne, mentre di marroni non ce ne stanno più di 3, perciò il marrone, solitamente, è più grosso della castagna.



Ma non è solo questione di grandezza: il marrone è più ‘panciuto’ della castagna, avendo avuto più posto per svilupparsi; la sua buccia è più sottile ed ha delle striature mogano e marrone chiaro; la polpa non è ‘settata’, cioè la superficie è più liscia, cosicché la pellicina non si insinua all’interno ed è più facile da rimuovere. Quanto al sapore, i marroni sono più zuccherini delle castagne.


Farina di neccio o farina dolce

La farina di castagne o marroni è diventata, col tempo, un prodotto molto meno comune e diffuso della farina di grano. Il suo prezzo può arrivare ‘alle stelle’, soprattutto se i frutti sono essiccati secondo il metodo antico (nei metati, le  apposite costruzioni che alla base hanno un fuoco di braci e al piano di sopra le castagne ad essiccare col fumo) e se sono macinati a pietra. In origine, invece, e fino alla II guerra mondiale, questa farina è stato un alimento povero, l’alimento quasi esclusivo delle popolazioni dell’Appenino toscano nella stagione fredda, quando le castagne costituivano il cosiddetto ‘pane dei poveri’, in grado di sostituire i cereali più pregiati e non solo. Carboidrati complessi, grassi, proteine, sali minerali, vitamine (C, B1, B2 e PP) ne fanno un alimento energetico di primaria importanza. Con la cottura parte degli amidi si trasforma in zuccheri semplici, di qui il sapore zuccherino, e di qui il nome che viene dato alla farina di castagne, ‘farina dolce’.



Altro nome per questa farina è ‘farina di neccio’ (forse da castagneccio), farina che in Garfagnana ha ottenuto la DOP. Ma la Garfagnana non è l’unica area di castagneti in Toscana: altra farina di castagne (DOP) è quella della Lunigiana (ancora più a Nord-Ovest, provincia di Massa Carrara, al confine con la Liguria), un’altra ancora è quella della montagna pistoiese (al centro dell’Appennino toscano).

Quanto al prodotto che dà origine alla farina, sempre in zone appenniniche, proseguendo verso est, troviamo il marrone del Mugello IGP (provincia di Firenze) e il Marrone di Caprese Michelangelo DOP (provincia di Arezzo). Nel sud della Toscana, fra le province di Siena e Grosseto, ha ottenuto l’IGP la castagna del Monte Amiata.

La farina di neccio della Garfagnana necessita di una essiccazione delle castagne nei metati che dura almeno 40 giorni, perciò fino ai primi di dicembre non è in commercio. Per questo motivo ne ho usata una che è già in vendita, e che fra tutte è quella prodotta nel luogo più vicino a dove abito, una farina di castagne del Mugello, essiccata comunque a una temperatura inferiore ai 55° e macinata a pietra.

Ecco, nella foto, i marroni del Mugello, fotografati il 27 ottobre scorso durante una manifestazione al Mercato Centrale di Firenze. Ringrazio Roberto Fabrizi di Mitaly per avermi suggerito di immortalare questi splendidi marroni.







 

Termino con una panoramica sui colori e sapori d’autunno nelle ricette tradizionali italiane.

Valle d'Aosta - Zuppa di castagne


















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Commenti

  1. Interessante questa ricetta, non la conoscevo.

    Baci
    Miria

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  2. una pasta di farina di castagne condita alla grande!bella ricetta!

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  3. Che ricetta particolare. Bellissimo e interessante anche il tuo post. Curioso i diversi nomi del timo. Ciao.

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  4. ma quante ricette con le castagne! Quindi oltre a prendere nomi diversi a seconda delle zone cambia anche di sapore, la tua è una versione dolce mentre altrove diventa salata! Molto interessante, la tua ricetta la assaggerei volentieri! ciao buon weekend

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    1. Esatto, Marina. Siamo strani noi toscani! Il fatto è che molte di queste zone sono rimaste isolate le une dalle altre perché impervie, oppure perché appartenevano a stati diversi durante Medioevo e Rinascimento. E così ogni zona ha inventato utilizzazioni diverse le une dalle altre.

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  5. Beelo questo post Giovanna, un tuffo nelle tradizioni! E buona questa polentina... un abbraccio

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  6. Una ricetta splendida Giovanna! Adoro le castagne... mi hai messo un appetito... complimenti cara!

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  7. Questo post è una miniera di informazioni, complimenti ^_^
    Una ricetta interessante che non conoscevo.
    Buona settimana

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