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Visualizzazione dei post da maggio 30, 2014

Coniglio dolce-forte

Il dolce-forte è un tipo di intingolo che tradizionalmente viene usato in Toscana per il cinghiale, la lepre e la lingua (Artusi docet ...); non è raro però trovarlo per il coniglio. L’uso dev’essere nato in campagna quando non era stagione di caccia o quando non c’era abbastanza tempo a disposizione per le lunghe cotture, nel periodo in cui aumentava il lavoro nei campi e anche tutte le donne di casa dovevano partecipare. Così anche un semplice coniglio, cucinato con ingredienti oculatamente scelti, poteva bastare per elargire al palato il piacere che proviene dall’intero quartetto dei gusti, il dolce, l’amaro, il salato, l’acido (cioè il ‘forte’). L’origine è probabilmente da far risalire al Rinascimento, quando si usava abbinare il dolce al salato. Volendo seguire la tradizione più antica, dovremmo unire a metà cottura panforte e cavallucci tritati, oltre ai consueti pinoli, uvetta, aceto e al meno comune cioccolato, che ovviamente si potè inserire nel dolce-forte sol

Pezzole della nonna

Il titolo della ricetta richiede senza dubbio una spiegazione per i non toscani. Con questo nome, pezzole della nonna, nelle campagne fiorentine si indicavano quella sorta di frittatine conosciute anche con il nome di crespelle. Erano dette pezzòle da pezzuole, cioè quei tipici fazzoletti che le contadine più anziane – le nonne, appunto – portavano sempre in testa. Da pezzole diventarono crespelle, a causa del bordo un po’ increspato, e da crespelle crèpes, come le chiamarono i francesi quando vennero in contatto con la cucina toscana grazie ai cuochi che aveva fatto venire a Parigi da Firenze Caterina de’ Medici, insoddisfatta della cucina francese che si praticava alla corte del marito Enrico II. Se servite con la sola besciamella, diventano ‘pezzole della nonna in salsa colla’. La salsa colla, arrivata anche questa in Francia con Caterina, divenne salsa béchamel o balsamella o, infine, besciamella, grazie all’omonimo cortigiano a cui a volte ne viene attribuita l’in