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Tonno a pinne gialle su crema di ribes rosso e chip di cavolo nero


INGREDIENTI per 4 amuse-bouches

12o g circa di tonno a pinne gialle (unica fetta, spessa circa 2 cm)
4 foglie medio-piccole di cavolo nero (o verza)
125 g di ribes rosso
2 cucchiaini di farina di riso
2 cucchiai di latte di capra
2 cucchiaini di miele
6 chiodi di garofano (solo la capocchia)
1 cucchiaio di semi di nigella
1 cucchiaino di semi di sesamo
olio e.v.o. q.b.
sale q.b.



PREPARAZIONE

1. Schiacciare il ribes in un setaccio (tranne 4 chicchi per la decorazione), ricavandone la polpa.

2. Condire il tonno con sale, olio e le capocchie dei chiodi di garofano pestate; spalmarlo con parte della polpa di ribes e lasciarlo in frigorifero per almeno mezz’ora.

3. Accendere il forno a 190°. Eliminare la costa delle foglie di cavolo, già lavate e perfettamente asciutte. Massaggiarle con olio e sale. Metterle in stampini da muffin, con le estremità inferiori incrociate e un altro stampino che le tenga schiacciate, in modo da creare una forma concava. Infornare per 5/10 minuti, controllando che le foglie non brucino, ma che siano croccanti.

4. Stemperare a freddo la farina di riso con il latte e la polpa di ribes rimasta. Unire un pizzico di sale e il miele. Far addensare a fuoco basso.

5. Estrarre il tonno dalla marinata e togliere ogni residuo di polpa di ribes. Cospargerlo di semi di nigella e di sesamo e farlo cuocere in un padellino antiaderente caldissimo appena unto d’olio, per circa 1 minuto da una parte e non più di 30 secondi dall’altra. Controllare comunque, con un termometro da cibi, che la temperatura all’interno non superi 50° C, perché il tonno dovrà rimanere rosato.

6. Unire la polpa di ribes della marinata alla crema preparata, scaldare e far riaddensare. Distribuire la crema in piccoli contenitori (nella foto, “tegamini” di porcellana ovali, con diametro massimo di cm 6,5).

7. Sovrapporre alla crema foglie di cavolo e fettine triangolari di tonno, sormontate da chicchi di ribes.



L’amuse-bouche, com’è noto, è quello stuzzichino di benvenuto che lo chef offre solitamente prima del vero e proprio antipasto. Fino agli anni ’80 si chiamava amuse-gueule, con un termine che metteva in rilievo la funzione di stuzzicare la gola intesa come metafora della golosità; successivamente, forse in coincidenza con l’accentuarsi degli studi sul gusto, si è fatta strada la denominazione amuse-bouche, che allude alla cavità orale come sede anatomica dei recettori del senso del gusto, distribuiti su lingua, palato molle, guance, faringe ed epiglottide.
L’ideale sarebbe dunque un amuse bouche che riuscisse a solleticare i recettori del dolce, del salato, dell’acido, dell’amaro e infine dell’umami. In questo amuse-bouche si percepiscono l’amaro e il salato nella chip di cavolo nero, il dolce e l’acido nella crema di ribes, l’umami, anche se in misura minore, nel tonno e nel latte di capra. Le labbra e il palato apprezzeranno le consistenze diverse: il croccante della foglia, il vellutato della crema, la morbidezza del tonno.
Nell’amuse-bouche la quantità non supera mai uno o due bocconi; visivamente dobbiamo trovarci di fronte a un piatto in miniatura, che sorprenda piacevolmente anche la vista, in un gioco di contrasti e sfumature di colore e in un intreccio di linee e volumi rigorosamente in 3D.
Last but not least, il contenitore. Non un piatto qualunque, ma qualcosa che metta in evidenza la mini-porzione e dia il senso di accoglienza: una sorta di hortus conclusus, un piccolo giardino segreto, come quelli che nei monasteri erano sempre presenti ma ben nascosti, simboli dell’Universo nella forma e nella struttura, dove gli asceti, attraverso la meditazione e un personale percorso della memoria, raggiungevano la conoscenza contemplativa.
Contemplate dunque, contemplate, ma non dimenticate di assaggiare...

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