A tavola con la storia? In Toscana, come del resto in tutta Italia, si può. Esistono cibi e
ricette dai forti sapori (il cosiddetto dolceforte) che sembrano risalire ai
più antichi abitatori ‘storici’ della regione, gli Etruschi. Puoi imbatterti in
certi «trastulli» (come li chiamava l’Artusi), cioè pasticcini e biscotti, che
‘trasudano’ una dolcezza sublime, in grado di evocare le rare trasgressioni di
una cucina monastica o la familiare intimità di un focolare domestico. Non
mancano i cibi ‘di strada’ dei pellegrini, dei briganti e dei pastori: dai pani
e panetti dolci da portare con sé nelle lunghe assenze da casa, alle zuppe
improvvisate preparate all’aperto con ciò che potevano offrire i campi o i
boschi. Persistono, negli umidi e negli arrosti, i sapori speziati della tavole
medievali e infine trionfa la Storia con la S maiuscola in tutte quelle
preparazioni che le corti rinascimentali, in particolare quella dei Medici in Toscana,
hanno elaborato e canonizzato fra ’400 e ’500. I trattati culinari dal ’200 al ’700, nonché la codifica artusiana di fine ’8oo, hanno fatto il resto, salvando un patrimonio gastronomico enorme, a cui la Toscana ha dato il
suo contributo.
Ecco dunque che per il tema di questo mese dell’Italia nel piatto, «La ricetta storica», non ho avuto che l’imbarazzo della scelta, dando
per buono, ovviamente, che l’origine storica delle ricette sia autentica. La
ricetta che presento ha un nome forse poco comprensibile ormai, papero alla
melarancia, detto anche papero (o paparo) al melarancio, sostituito di solito
nei menu dei ristoranti con «anatra all’arancia». Si racconta che fosse una
delle preparazioni preferite di Caterina de’ Medici, la quale, andata in sposa nel
1533, a soli 14 anni, ad Enrico di Valois, duca d’Orleans, il futuro re di Francia,
insoddisfatta della cucina francese dell’epoca, avrebbe fatto venire a Parigi i
suoi cuochi e pasticcieri fiorentini, dando così inizio ad una trasformazione
che avrebbe portato una semplice cucina di corte a quella che dopo pochi secoli
divenne la famosa e raffinata cucina francese. Libri e pagine web di cucina fiorentina e toscana raccontano che Caterina non solo dette
il via alla distinzione fra cibi salati e cibi dolci, non solo introdusse la
forchetta, visto che i francesi mangiavano ancora con le mani, ma soprattutto
esportò piatti come questo papero al melarancio che divenne la ben nota ‘canard
à l’orange’, o come la salsa colla che si chiamò Béchamel, o le pezzòle della
nonna, dette anche crespelle alla fiorentina, che divennero le crêpes, o infine
la zuppa di cipolle che dette origine alla soupe à l’oignon. Questo è ciò che si racconta. Ma sarà vero? Vediamo intanto la ricetta, poi ne riparliamo.
INGREDIENTI
1 anatra o un papero*
4 arance**
1 limone
2 spicchi d’aglio
3 rametti di timo (detto pepolino a Firenze)
3 rametti di rosmarino
1 bicchiere di Vin Santo
1 cucchiaino di burro
1 cucchiaino di farina
2 cucchiai di aceto di vino bianco
Olio e.v.o.
Sale q.b.
Pepe q.b.
PROCEDIMENTO
– Fiammeggiare l’anatra, svuotarla, eliminare testa e zampe. Togliere le ghiandole di grasso sulla coda e il grasso che si trova all’interno. Lavarla e asciugarla. Con le interiora (fegato senza sacchetto di bile e ventriglio aperto e svuotato), la testa (se volete) e le zampe fare circa mezzo litro di brodo.
– Farcire l’anatra con aglio, timo, rosmarino, un’arancia tagliata in quattro, sale e pepe***. Metterla in una teglia, condirla anche all'esterno con sale e pepe e irrorarla d'olio.
– Infornarla a 180° C****. Appena è rosolata da tutti i lati, bagnarla col Vin Santo. Procedere poi a cuocerla cospargendola spesso col sugo di cottura, con qualche cucchiaio del succo di arance e limone e col brodo di frattaglie preparato*****. Occorrerà circa 1 ora e mezza per un’anatra di poco più di 1 kg. Per questa, che pesava kg 2,2 ci sono volute quasi tre ore.
– Intanto ricavare dalle tre arance restanti dei filetti di scorza senza albedo (la parte bianca). In un tegamino far sfrigolare il burro impastato con la farina, unire le scorze e il succo di arance e limone rimasto, l’aceto, 1 cucchiaino di zucchero, il sale e il pepe, il fondo di cottura dell’anatra filtrato e far sobbollire per pochi minuti. C’è chi aggiunge all'inizio, insieme a burro e farina, il fegato dell’anatra schiacciato.
– Tagliare in pezzi l’anatra e versarvi sopra il sugo con le scorze. Riscaldare in forno o in padella per circa 10 minuti.
* Per papero s’intende l’oca giovane o anche l’anatra giovane, non ancora in fase riproduttiva.
** Melarancia (o pomarancia), contrapposta alla melangola (arancia amara o forte) è il nome antico dell’arancia dolce, detta anche arancia di Portogallo, quella che comunemente chiamiamo arancia o arancio.
*** Nella ricetta trecentesca il papero veniva farcito di aglio e agresto (uva acerba). Oggi si usano prosciutto e scorza d’arancia, oppure spicchi di arancia e salvia (io ho usato invece timo e rosmarino).
**** La ricetta ha subito e continua a subire varianti nel metodo di preparazione. L’anatra può essere cotta in forno, oppure in uno spiedo sulle braci, in modo che scoli il grasso, o infine in casseruola.
***** La versione francese usa ovviamente il Grand Marnier. Nelle ricette italiane di solito si trova il vino bianco secco, io invece ho usato il Vin Santo toscano. L'idea di bagnarla con brodo di frattaglie è mia.
Ecco la porzione per mia sorella Elisabetta, la quale ha detto di non aver mai mangiato niente di più buono in 66 anni. Sarà vero? |
1 anatra o un papero*
4 arance**
1 limone
2 spicchi d’aglio
3 rametti di timo (detto pepolino a Firenze)
3 rametti di rosmarino
1 bicchiere di Vin Santo
1 cucchiaino di burro
1 cucchiaino di farina
2 cucchiai di aceto di vino bianco
Olio e.v.o.
Sale q.b.
Pepe q.b.
PROCEDIMENTO
– Fiammeggiare l’anatra, svuotarla, eliminare testa e zampe. Togliere le ghiandole di grasso sulla coda e il grasso che si trova all’interno. Lavarla e asciugarla. Con le interiora (fegato senza sacchetto di bile e ventriglio aperto e svuotato), la testa (se volete) e le zampe fare circa mezzo litro di brodo.
– Farcire l’anatra con aglio, timo, rosmarino, un’arancia tagliata in quattro, sale e pepe***. Metterla in una teglia, condirla anche all'esterno con sale e pepe e irrorarla d'olio.
– Infornarla a 180° C****. Appena è rosolata da tutti i lati, bagnarla col Vin Santo. Procedere poi a cuocerla cospargendola spesso col sugo di cottura, con qualche cucchiaio del succo di arance e limone e col brodo di frattaglie preparato*****. Occorrerà circa 1 ora e mezza per un’anatra di poco più di 1 kg. Per questa, che pesava kg 2,2 ci sono volute quasi tre ore.
– Intanto ricavare dalle tre arance restanti dei filetti di scorza senza albedo (la parte bianca). In un tegamino far sfrigolare il burro impastato con la farina, unire le scorze e il succo di arance e limone rimasto, l’aceto, 1 cucchiaino di zucchero, il sale e il pepe, il fondo di cottura dell’anatra filtrato e far sobbollire per pochi minuti. C’è chi aggiunge all'inizio, insieme a burro e farina, il fegato dell’anatra schiacciato.
– Tagliare in pezzi l’anatra e versarvi sopra il sugo con le scorze. Riscaldare in forno o in padella per circa 10 minuti.
* Per papero s’intende l’oca giovane o anche l’anatra giovane, non ancora in fase riproduttiva.
** Melarancia (o pomarancia), contrapposta alla melangola (arancia amara o forte) è il nome antico dell’arancia dolce, detta anche arancia di Portogallo, quella che comunemente chiamiamo arancia o arancio.
*** Nella ricetta trecentesca il papero veniva farcito di aglio e agresto (uva acerba). Oggi si usano prosciutto e scorza d’arancia, oppure spicchi di arancia e salvia (io ho usato invece timo e rosmarino).
**** La ricetta ha subito e continua a subire varianti nel metodo di preparazione. L’anatra può essere cotta in forno, oppure in uno spiedo sulle braci, in modo che scoli il grasso, o infine in casseruola.
***** La versione francese usa ovviamente il Grand Marnier. Nelle ricette italiane di solito si trova il vino bianco secco, io invece ho usato il Vin Santo toscano. L'idea di bagnarla con brodo di frattaglie è mia.
Sarà vera storia o leggenda? Per quanto questo mito di Caterina de’ Medici esportatrice di ricette in Francia continui a
spopolare fra gli appassionati di cucina, non sono riuscita a reperire neppure
una citazione di un documento storico che ne comprovi l’autenticità. Inoltre, per il papero (o anatra), ho visto che non c’è nessuna
traccia della «melarancia» nella ricetta trecentesca citata sia da G. Righi
Parenti (Il grande libro della vera cucina toscana) che da P. Petroni (La cucina toscana) come la più antica fonte scritta del «papero
alla melarancia» (proprio con questo titolo). In realtà è intitolata
semplicemente «Del paparo», vedi foto qui sopra (da un Libro della cucina del XIV sec., pp. 30-31, pubblicato nel 1863 da Francesco Zambrini, in pdf qui, trascrizione qui) e prevede l’impiego del «succo d’aranci» nella prima
versione, mentre nella seconda (vedi nella versione Altramente) il succo per fare una salsetta è di «melangole»,
cioè l’arancio amaro, non il melarancio che è l’arancio dolce .
Mi sono accorta, grazie a Google Libri, che i
veri storici dell’alimentazione – che non siano storici improvvisati come certi scrittori di ricette per la stampa o per il web – propendono per la leggenda.
Per esempio, June di Schino e Furio Luccichenti, nel loro libro Il cuoco segreto dei Papi: Bartolomeo Scappi e la Confraternita dei
cuochi e dei pasticceri, Roma 2007, p. 78, scrivono: «La
diffusa convinzione dell’influenza della cucina rinascimentale italiana in
Francia è leggenda, così come l’episodio di Caterina de Medici che brandiva la
prima forchetta a tavola con al suo seguito uno stuolo di cuochi italiani. Bruno
Laurioux, noto studioso delle fonti archivistiche, ha dichiarato
categoricamente “che Caterina de Medici abbia portato la cucina italiana alla
corte dei Valois è soltanto una battuta di spirito” (B. Laurioux 1994)».
In effetti oltre confine questo mito non esiste, anzi viene criticato. Per esempio, a proposito del
papero alla melarancia, G. Riley, The
Oxford Companion to Italian Food, Oxford - New York 2007, a p. 163 scrive: «Hence
the use of bitter oranges, as a sauce, or sliced as a garnish– a happy
combination known in France as well as Italy, without an intervention from
Caterina de’ Medici». E ancora, a p. 341: «Myths about food and recipes are
part of Italian culture, a way of fondly expressing pride in a rich gastronomic
heritage. [...] History sometimes merges sloppily with barefaced invention, and
this can be irritating, as when a well-known Italian restaurateur in London
recently said that Caterina de’ Medici brought caneton à l’orange to France, a land where ducks and oranges had
been reared and used with considerable sophistication long before the Medici
princess arrived in 1533. There are 14th-century recipes for orange sauce with
duck, and bitter oranges were grown in Provence by the end of the 15th
century».
Che dire? La precisione storico-filologica non è sempre una virtù dei ‘food writer’ italiani. Finiamola dunque con questa favoletta di Caterina esportatrice della cucina fiorentina in Francia.
N.B. Aggiornamento. Avevo già scritto fin qui, quando, in attesa di un treno nella libreria Feltrinelli della stazione di Firenze, ho trovato un libro che mi mancava: A. Capatti - M. Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura. Cerco citazioni di Caterina de’ Medici e trovo conferma a quanto ho detto sopra. Ecco cosa si legge a proposito dei cuochi di Caterina: «Per tramite loro la cucina italiana sarebbe entrata alla corte di Parigi. Di tutto ciò non vi è alcuna prova documentata. Ma non c’è alcun bisogno di invocare Caterina de’ Medici per giustificare la presenza di una cultura «italiana» in territorio di Francia...». Gli autori proseguono citando varie ricette presenti nei ricettari del XIII-XIV secolo che testimoniano già «reciprocità di apporti», «larga circolazione di tecniche e saperi gastronomici fra i paesi europei, nel segno di una coltura cosmopolita, che non conosceva frontiere». Successivamente nella Francia del ’700 venne costruito un mito denigratorio dei cuochi di Caterina, che gli italiani ribalteranno poi in senso positivo, quasi che fossero stati loro a insegnare ai francesi a far da mangiare. La nascita di questo mito viene spiegata passo passo, con autori e citazioni, ma è meglio lasciar perdere, perché mi sono dilungata anche troppo.
Che dire? La precisione storico-filologica non è sempre una virtù dei ‘food writer’ italiani. Finiamola dunque con questa favoletta di Caterina esportatrice della cucina fiorentina in Francia.
N.B. Aggiornamento. Avevo già scritto fin qui, quando, in attesa di un treno nella libreria Feltrinelli della stazione di Firenze, ho trovato un libro che mi mancava: A. Capatti - M. Montanari, La cucina italiana. Storia di una cultura. Cerco citazioni di Caterina de’ Medici e trovo conferma a quanto ho detto sopra. Ecco cosa si legge a proposito dei cuochi di Caterina: «Per tramite loro la cucina italiana sarebbe entrata alla corte di Parigi. Di tutto ciò non vi è alcuna prova documentata. Ma non c’è alcun bisogno di invocare Caterina de’ Medici per giustificare la presenza di una cultura «italiana» in territorio di Francia...». Gli autori proseguono citando varie ricette presenti nei ricettari del XIII-XIV secolo che testimoniano già «reciprocità di apporti», «larga circolazione di tecniche e saperi gastronomici fra i paesi europei, nel segno di una coltura cosmopolita, che non conosceva frontiere». Successivamente nella Francia del ’700 venne costruito un mito denigratorio dei cuochi di Caterina, che gli italiani ribalteranno poi in senso positivo, quasi che fossero stati loro a insegnare ai francesi a far da mangiare. La nascita di questo mito viene spiegata passo passo, con autori e citazioni, ma è meglio lasciar perdere, perché mi sono dilungata anche troppo.
Conclusione: se è vero che non sono riuscita a trovare uno straccio di
documento che citi un «papero al melarancio», resta il fatto che l’uso dell’arancio
con l’anatra esisteva nei ricettari, perciò l’anatra all’arancia si può
considerare un piatto ‘storico’, anche se la sua attribuzione a Caterina de’
Medici è da prendere ‘con le molle’.
Ma basta con la Toscana. È ora di curiosare nelle altre cucine regionali, questa volta a braccetto con la storia.
Valle d’Aosta: Nodle unt rifla, la pasta di Gressoney
Piemonte: Pollo alla Marengo
Liguria: Torta di porri del genovesato
Trentino Alto Adige: Basini de Trent
Friuli Venezia Giulia: Gnochi de pan triestini
Emilia Romagna: Cappellacci di zucca ferraresi
Marche: Ciambellone della Trebbiatura
Umbria: Strascinati di Cascia
Lazio: Saltimbocca alla romana
Abruzzo: Pizzelle
Campania: Il sartù di riso
Puglia: Ciceri e tria
Basilicata: La cialledda: acquasale fredda
Calabria: Nepitelle
Sicilia: Caponata di Melanzane e Pesce
Sardegna: Cassola de Pische Catalana
Che bella storia su Caterina che è un personaggio che ho sempre amato molto! Ridimensioniamo anche i francesi, che in cucina se la tirano decisamente troppo... bacione
RispondiEliminaMolto saporito e gustoso questo piatto.
RispondiEliminaUn'ottima proposta per l'Italia nel Piatto.
Ma che bontà!
RispondiEliminaCiao Elisa
Io tifo Caterina!! troppe coincidenze, se è vero che non v'è traccia documentale c'è però la speranza (quasi certezza) che una italiana (toscana per di più) alla corte di Francia si sia data da fare ad istruire cuochi e aiuto cuochi nelle cucine del palazzo!! Si, si è andata così, ne sono certa!! Dell'anatra all'arancia che non ho mai assaggiato, ho negli occhi le bellissime scene del film omonimo, quando Monica Vitti ne mangia voluttuosamente ed ora mi beo di fronte al tuo piatto. Bellissimo! un bacio
RispondiEliminaOttimo questo papero, ma l'articolo di più! Bellissima ricerca storica, ci spiace un po' che il "nostro mito" Caterina decada così, ma in fondo sono soddisfatta di leggere che già a quei tempi già ci fosse una circolazione di tecniche e saperi gastronomici fra i paesi europei. Belle pure le definizioni e le correlazioni... chapeau!(in barba ai francesi!)
RispondiEliminaOttimo all'hotel 5 stelle alto adige https://www.alpedisiusi.com/it/seiseralm-urthaler.html
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