Oggi le regioni dell’Italia nel piatto si cimentano in un argomento impegnativo: il mese del maiale (carne, salumi & C.). Si potrà scegliere di parlare di carne di maiale, salumi, prodotti semilavorati o sagre a tema. Partecipo anch’io, pur controvoglia; per il maiale, infatti, non ho una gran simpatia; in altra occasione vi spiegherò il perché.
Sperando di non divagare troppo
e di non annoiare, ho scelto per la Toscana un percorso assai variegato, com’è
evidente anche solo dal titolo di questo post; «un titolo che è una promessa»,
mi ha scritto in un messaggio Loredana del blog “La cucina di mamma”;
spero di riuscire a mantenerla. Sul grufolare non ci saranno problemi: frugare,
rovistare, mi è sempre riuscito benissimo; metto così le mani avanti (anzi… il grugno!) ed evito qualsiasi trattazione sistematica, adottando il metodo
dell’animale oggetto di questo post (o anche del cinghiale): lui rovista nel
cosiddetto trogolo alla ricerca di cibo, io rovisterò fra le pagine di
dizionari, articoli, saggi.
1. UN PANINO CON LA PORCHETTA
1. UN PANINO CON LA PORCHETTA
Prima di tutto, cerchiamo di
riempirci lo stomaco, perché il viaggio sarà lungo. Che ne dite di un panino
con la porchetta? Più Toscana di così… In questa regione si trovano ovunque i rivenditori di
porchetta nei mercati e nelle fiere. Perfino in città qualsiasi salumiere (in tosc., pizzicagnolo) ha in bella mostra un trancio da cui ricavare fette da portarsi a casa o da mangiare seduta stante con il pane toscano ‘sciocco’, che sta benissimo con
questa carne particolarmente saporita e speziata.
Nella ‘rosetta’ della foto (che altrove si chiama michetta) ho accompagnato la porchetta con
Nella ‘rosetta’ della foto (che altrove si chiama michetta) ho accompagnato la porchetta con
spinacini,
indivia riccia,
salsa di porri, noci tritate e porcini secchi,
visto che porchetta + porcini
stanno bene insieme anche solo come parole. E non è un caso, dato che porcino
è la traduzione esatta di suillus (diminutivo
di sus, suino, quindi piccolo porco),
termine con cui gli antichi Romani chiamavano volgarmente questo fungo, il Boletus, per via dell’aspetto così tozzo
e massiccio.
Ma in questo panino c’è una terza parola che
inizia per por-: i porri.
Si affettano finemente e si fanno imbiondire con olio e.v.o. insieme ai porcini secchi tenuti a mollo in acqua
e tritati. Si alza il fuoco, si versa un po’ di vino bianco e si fa sfumare. Si aggiunge un bicchierino di acqua fredda leggermente salata o brodo in cui avremo sciolto un
cucchiaino di maizena. Si fa
ritirare a fuoco basso e, quando la salsa è tiepida, si uniscono le noci tritate. Si spalma sul pane, si sovrappongono la porchetta a pezzetti e le foglie di spinacini e indivia riccia. Di solito nel panino con la porchetta non si aggiunge niente; se proprio si vuole, cipolline glassate o salsa verde. Invece io ho ideato questa salsa e il completamento con spinacini e riccia che dà freschezza.
Finita la ricettina, vi dico perché fra le numerose preparazioni
derivate dal suino, quella più adatta a questo post mi è sembrata la porchetta:
1) perché
così risolvo l’imbarazzo della scelta fra i tanti salumi prodotti con varie parti del maiale, in quanto la porchetta è fatta con
l’intero animale;
2) perché,
essendomi accorta che l’area di attuale diffusione della porchetta come
prodotto tipico si sovrappone quasi perfettamente all’antica Etruria (compresi
i territori al di fuori dell’attuale Toscana in cui gli Etruschi si diffusero),
ho ‘colto la palla al balzo’ e l’ho rilanciata, per così dire, per dare il via
a qualche piccola ricerca storico-linguistica che possa far luce su questa
singolare coincidenza.
Per una panoramica d'immagini, vedere qui: porchetta toscana.
Per una panoramica d'immagini, vedere qui: porchetta toscana.
La porchetta è il maiale intero (adulto, di circa un anno, di peso massimo 1 quintale),
disossato, privato di cotenne e grasso eccessivo, condito all’interno con aglio
ed erbe aromatiche, sale e pepe, legato e arrostito in forno a una temperatura
di circa 210° per 6-8 ore. Le erbe aromatiche cambiano a seconda della zona. Il
rosmarino è il condimento usato, per esempio, nella Toscana meridionale e nei
Castelli Romani del sud; la porchetta di Ariccia (Lazio), IGP, contiene anche
finocchio selvatico. Per la porchetta dell’Alto Lazio, dell’Umbria, delle
Marche e della Romagna si usa di norma il solo finocchio selvatico. Diversa da
tutte invece è la porchetta di Campli, in Abruzzo, non solo per gli aromi, ma
anche per la tecnica di cottura. Diverso il porceddu sardo, prima di tutto
perché è il maialino da latte (circa 6 kg) privato anche delle interiora, poi per il modo di
cottura e per l’aroma, che è il mirto.
In effetti i territori che ho
nominato sono quasi tutti nell’ambito dell’espansione etrusca.
(Fonte dell'immagine: Wikipedia)
Se guardiamo alla situazione
successiva, attraverso l’età romana, medievale, rinascimentale, ecc., fino ai
giorni nostri, ci rendiamo conto che numerose modifiche dei confini sono
avvenute per motivi storici e politici, eppure certe abitudini alimentari ormai
acquisite, come quella della porchetta, sono rimaste.
Della parola italiana
‘porchetta’ abbiamo tracce fin dal medioevo. Perché sia femminile non saprei, visto che l’animale arrostito dovrebbe essere, a quanto ne so,
maschio. Ma vediamo di risalire più indietro nel tempo, alla ricerca
dell’utilizzazione del maiale presso gli Etruschi e Romani.
2. IL MAIALE DEGLI ETRUSCHI E DEI ROMANI
2. IL MAIALE DEGLI ETRUSCHI E DEI ROMANI
Le fonti letterarie ci dicono
che l’allevamento del maiale era praticato dagli Etruschi su larga scala, sia
per il consumo immediato, che per la salagione e l’affumicazione. Le
testimonianze dirette (dall'VIII a.C. al III/II a.C.) provengono dai resti ossei di
suino trovati nel corso di scavi archeologici e da raffigurazioni, per esempio
la decorazione alla base di un vaso d’argento dorato appartenuto a un certo
Plikasna, proveniente da Chiusi (SI), che rappresenta la scena di una fila di
suini condotti da un mandriano che, per dirigerli, suona il flauto.
Non mancava, ovviamente, il
suino non domestico, cioè il cinghiale, come testimoniano sia reperti
osteologici, sia le raffigurazioni di scene di caccia.
Sappiamo dallo scrittore Varrone che il sacrificio del suino avveniva in riti propiziatori e di purificazione; nei matrimoni di alto rango, gli sposi immolavano un suino di latte (vedi qui).
Sappiamo dallo scrittore Varrone che il sacrificio del suino avveniva in riti propiziatori e di purificazione; nei matrimoni di alto rango, gli sposi immolavano un suino di latte (vedi qui).
Sappiamo pochissimo sui prodotti
che gli Etruschi ricavavano da questi animali, mentre abbiamo una miriade di notizie
che riguardano i Romani. Accenno solo a qualche curiosità.
1) Nonostante che la carne di
maiale fosse la più cara, il suo consumo era grandissimo. Le ricette nel libro
di Apicio sono numerose: solo nel capitolo VII ve ne sono 23, nelle quali
questa carne è cucinata arrosto, stufata o lessa.
2) Secondo Plinio la carne suina
aveva ben 50 gusti diversi, mentre quella degli altri animali uno solo.
3) Varrone arriva ad affermare
che la natura aveva creato il suino appositamente per i banchetti (!).
4) Petronio, nel Satyricon, descrive vari piatti appetitosi
preparati col maiale. Fra tutti eccelle quel porco così abilmente farcito da un
cuoco burlone, che il suo padrone, Trimalcione, credette che non l’avesse
sventrato. Il cuoco stette al gioco e, pregato di farlo pubblicamente, «riprese
il grembiale, strinse il coltello e con mano timorosa tagliò qua e là il ventre
del porco: ed ecco che dalle ferite che si allargavano per l’urto del peso,
scapparono fuori salsicce e sanguinacci». Non vi sembra che questo porco
farcito sia una specie di porchetta
arricchita?
5) Il porcellino di latte era
molto ambito. Marziale si augura che qualche ricco anfitrione, riservando per
sé, come si usava, le vivande più care (per esempio il tanto decantato
cinghiale dell’Etolia), gli offrisse il porcellino. Sarà l’antenato del porceddu sardo?
Gli scrittori latini ci parlano
di prosciutti e carni salate, di salsicce e insaccati, di fegato grasso e di
frattaglie, perfino di matrici e poppe di scrofa, entrambe costosissime, per le
quali i Romani facevano follie, non solo perché erano squisite, ma anche perché
allontanavano il malocchio. Oggi si direbbe sfiziose o sfiziosissime, con un
termine ormai molto, anzi troppo, abusato in campo culinario.
Vediamo un piccolo assaggio di terminologia,
tratta, in gran parte, dal ricettario di Apicio (per una vecchia edizione online, vedere qui).
Abdomen: stomaco.
Callum: cotiche.
Carnaria: ganci a cui venivano appese le carni per essere
conservate sia affumicate che salate.
Hepatia o iecuscula:
fegatelli.
Labellum: testina.
Lucanica: salsiccia, di cui Apicio dà la ricetta, non molto
diversa da quella odierna. Marziale dice che si accompagnava con una polenta di
alica (farro medio o spelta) fumante.
Perna: prosciutto di coscia, più pregiato.
Petaso: prosciutto di spalla, da consumare
preferibilmente fresco (secondo Marziale), altrimenti diventava rancido
(Giovenale).
Renes: rognoni.
Sucidiae (da sus, suino): lombi di maiale salati.
Sumen: poppa di scrofa.
Ungellae: piedini, zampetti.
Volva o vulva: matrice di scrofa.
3. SUINO MAIALE PORCO VERRO SCROFA
E le parole italiane? Partiamo
dalle tre principali: suino, maiale, porco, tre termini tanto diversi per
indicare qualcosa di molto simile. Vi siete mai chiesti il perché? Basta dare
un’occhiata alla loro etimologia per trovarsi di fronte a una sventagliata di
frammenti di storia dell’alimentazione.
Suino viene dal latino sus,
che in greco è ὗς (leggi hys) o σῦς (leggi sys). Maschio o femmina si chiamavano nello stesso modo, bastava
cambiare l’articolo. È l’antico nome indoeuropeo del maiale selvatico o
domestico, del cinghiale e della scrofa. Si è pensato a un collegamento con la
radice *su- = generare, mettere al
mondo, visto che la scrofa è ben nota per la sua fecondità. In molte lingue
europee, antiche o moderne, ne restano tracce, per esempio, oltre che nel
latino, nell’umbro si, nel germanico su da cui il tedesco sau (scrofa), nell’inglese sow (scrofa).
Maiale è dal latino sus
maialis: è il suino addomesticato (sus scrofa domesticus), castrato e ingrassato. Il
nome deriva da Maia, dea della fecondità (madre e moglie di Vulcano, dio del
fuoco), a cui veniva sacrificata una scrofa gravida da parte dei sacerdoti del
dio Vulcano nel giorno della sua festa, il 1° maggio (di qui il nome del mese),
in modo che anche la terra fosse feconda di frutti. Tuttavia alcuni testi
antichi definiscono maialis non la scrofa gravida, ma il porcus
pinguis (cioè il maiale grasso) che veniva sacrificato a Maia.
Porco: dal latino porcus.
È nome popolare del maiale addomesticato. Andando però a ‘scavare’
nell’etimologia della parola, ci si accorge che, nella radice e negli esiti in
varie lingue, è insita una connotazione di animale ancora giovane, che è
presente, per esempio, nel tedesco Ferkel = maialetto, lattonzolo.
Vorrei concludere
con il verro, dal latino verres (il suino non castrato, destinato
alla riproduzione) e con la scrofa
(lat. scrofa), la femmina del maiale,
ma scommetto che a qualcuno sarà venuta la curiosità del perché questa povera
femmina si chiama anche “troia”.
Come i termini porco e maiale diventano, in italiano, appellativi di uomini
dalle abitudini non proprio... morigerate (fino a far parte di bestemmie), così
troia, oltre che la femmina del maiale, è passata a significare donna, diciamo
così, dai liberi costumi. Qualcosa a che fare con la città di Troia? Alcuni
sostengono di sì, rifacendosi a Macrobio, scrittore del V secolo d.C., il quale
ricorda che il porcus Troianus era il maiale arrostito intero, riempito con
la carne di altri animali (come quello ricordato sopra), quasi che fosse il famoso cavallo di Troia ideato
dall’astuto Ulisse, che nella pancia di legno teneva nascosti i guerrieri.
Altri ritengono che nel latino barbaro dicessero ‘troia’ della femmina del
maiale, derivando il termine dal gaelico torc
che significa verro. Comunque, non so se avete notato, sia nell’uno che nell’altro
caso, la colpa di questa denominazione ‘troia’ è sempre di un maschio!
4. SALUMI TOSCANI
4. SALUMI TOSCANI
Concludo tornando ai tempi nostri
e nella mia regione. I salumi, gli insaccati e i prosciutti prodotti in Toscana
con carne di suino sono molto numerosi e addirittura, in qualche caso, cambiano
nome a seconda della zona di produzione. Ne do un elenco, premettendo che è
probabilmente incompleto. Ho evitato per lo più di entrare nel dettaglio delle
spezie usate, perché esistono molte varianti locali. Non ho dato spiegazioni
dei più comuni, come prosciutto, salame e salsiccia.
Barbina (= guanciale): salume
ricavato dalla parte muscolosa della gola (Colonnata, prov. di Massa e Carrara).
Bardiccio o salsiccia matta:
insaccato di parti ricche di sangue e meno pregiate (Valdisieve e marginalmente
Valdarno).
Burischio: insaccato di lardo e
sangue (Arezzo).
Buristo: insaccato con parti
della testa del maiale, grasso e sangue (Siena e Grosseto) simile al mallegato
(Pescia e Pisa) e al biroldo (Garfagnana).
Capocollo o finocchiata senese:
salume ottenuto dalla parte magra del collo del maiale.
Ciccioli o friccioli: sono le
briciole di quella parte solida residua dalla lavorazione a caldo (per
evaporazione) del grasso del maiale nella preparazione dello strutto.
Finocchiona: salume preparato
con carne macinata a grana media, vino, aglio e semi di finocchio (Firenze e
Siena).
Lardo di Colonnata I.G.P.
Lombo, lonzino o arista
stagionata, salume di forma ovoidale allungata.
Mortadella di Prato (Presidio
Slow Food): salume bollito o cotto al vapore, con carni di scarto dalla
lavorazione di altri salumi, molto speziate, in passato perfino Alkermes.
Porchetta: maiale intero, disossato e condito all’interno con erbe aromatiche, sale e pepe,
arrostito.
Prosciutto bazzone (Presidio
Slow Food): di forma allungata, come una bazza, cioè il mento (Garfagnana e
Valle del Serchio)
Prosciutto chiantigiano o
prosciutto di cinta senese D.O.P., ottenuto dalla carne suina di una particolare
razza, la cinta, caratterizzata da una striscia chiara sul pelo scuro, i cui capi sono ora allevati allo stato brado, mentre dopo gli anni '50 del secolo scorso sono stati a rischio di estinzione. La carne ha un gusto più intenso del normale ed è ricca di acidi grassi insaturi (Omega 3 e Omega 6); per il suino di cinta ci vorrebbe un post a parte; notizie dettagliate qui.
By Michela Simoncini. This file is licensed under the Creative Commons Attribution 2.0 Generic license |
Ambrogio Lorenzetti, Effetti del buon governo in campagna (1338-39), Palazzo Pubblico, Siena
Fonte: Wikipedia
Prosciutto del Casentino
Prosciutto di Sorano (Grosseto)
Prosciutto Toscano D.O.P.
Rigatino toscano: salume
ottenuto dalla parte più muscolosa della pancia del suino.
Salame di cinta senese
Salame toscano
Salsiccia di Montignoso (Massa e
Carrara)
Salsiccia toscana, fresca e
stagionata
Sambudello (o mazzafegato):
simile alla salsiccia, ma composto da carni meno pregiate come lingua, gota,
testa, orecchie e altre frattaglie come milza, cuore, fegato e polmone
(Appennino tosco-romagnolo, Casentino, ma anche in Valtiberina con il nome di codennino
o cudennino).
Soprassata o soppressata toscana
(anche capocchia, capaccia o capofreddo in Casentino): insaccato prodotto con
la lunga cottura di parti della testa, coda, lingua e cartilagini.
Spalla stagionata: simile al
prosciutto, ma ottenuta dalla coscia anteriore invece che posteriore.
Tarese del Valdarno (presidio
Slow Food): salume di grandi dimensioni (50 x 80 cm), di forma simile a una
pancetta tesa, ottenuto da schiena, pancia e parte dell’arista, provenienti da
maiali di oltre 200 kg.
Conclusioni? Meglio di no. Mi
sono dilungata troppo. Ho saltato di palo in frasca, anzi ho davvero ‘grufolato’
qua e là. Spero solo di aver suscitato a qualcuno il desiderio di spilluzzicare
qualche prelibatezza da questo smisurato tagliere toscano che vi ho offerto, cosparso non solo di salumi, insaccati e preparazioni varie, ma anche di briciole di storia.
BIBLIOGRAFIA
L'alimentazione nel mondo antico. Gli Etruschi, Roma 1987, pp. 49-50.
L'alimentazione nel mondo antico. I Romani - Età imperiale, Roma 1987, pp. 90-91.
D. e P. Brothwell, Food in Antiquity, New York-Washington 1969, pp. 41-42.
P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque: histoire des mots, Paris 1968-1980.
H. Frisk, Griechisches etymologisches Wörterbuch, II, Heidelberg 1970.
A. Walde - J.B. Hofman, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, II, Heidelberg 1954.
BIBLIOGRAFIA
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L'alimentazione nel mondo antico. I Romani - Età imperiale, Roma 1987, pp. 90-91.
D. e P. Brothwell, Food in Antiquity, New York-Washington 1969, pp. 41-42.
P. Chantraine, Dictionnaire étymologique de la langue grecque: histoire des mots, Paris 1968-1980.
H. Frisk, Griechisches etymologisches Wörterbuch, II, Heidelberg 1970.
A. Walde - J.B. Hofman, Lateinisches etymologisches Wörterbuch, II, Heidelberg 1954.
E finalmente possiamo dedicarci alle altre regioni italiane che hanno partecipato a questa uscita.
Valle
d'Aosta: I salumi valdostani derivati dal maiale
Friuli-Venezia
Giulia: Salam tal aset
Lombardia:
Cassoeula lodigiana
Liguria:
Cardi in ta poela
Emilia
Romagna: Pancetta piacentina dop su crostoni di polenta
Toscana: Suino
maiale porco: grufolando dal passato al presente, fra parole, ricette e salumi
toscani
Umbria:
Fegatelli di maiale arrosto
Abruzzo: Il
maiale: Tour gastronomico
Molise:
Lesconda maritèta
Campania:
Salsiccia di Polmone
Basilicata:
Maiale con peperoni sott'aceto
Puglia: Salsiccia
a punta di coltello con cime di rape stufate
Calabria: Gelatina
calabrese
Sicilia:
Suino nero in crosta di pistacchi
Il
nostro blog - http://litalianelpiatto.blogspot.it/
Post interessante ed approfondito... ed un inchino doveroso al tuo succulento ed invitantissimo panino con la porchetta!
RispondiEliminaHo voluto dedicare il tempo necessario alla lettura di questo interessantissimo post che ha saputo davvero spaziare dagli etruschi fino ai nostri giorni, passando per i romani.
RispondiEliminaMi sono piaciute le tue riflessioni anche su eventuali punti di contatto,( maialino e porceddu?),ma la cosa che ho apprezzato più di tutto è stato l'elenco dei salumi toscani che conoscevo appena, una vera bibbia per la mia ignoranza.
Non sempre la prolissità è noiosa, quando si associa ad informazioni così interessanti e ben scritte.
Un post da incorniciare.
Buon fine settimana
Loredana
è stato proprio questo tuo saltare da un argomento all'altro che ha mantenuto alta l'attenzione, rendendo questo post simpatico e interessante. Dall'elenco dei salumi alla ricetta (quella salsina ai funghi secchi deve essere golosissima), passando per la storia, è stato un viaggio davvero piacevole! grazie!
RispondiEliminaInteressantissimo post! Non ti nascondo che la foto del panino attirava tutte le attenzioni: golosissimo! Buona domenica!
RispondiEliminaComplimenti, un posto interessante!
RispondiEliminaHo grufolato pure io, anche se l'occhio è stato attirato unicamente dal quel gustosissimo panino con la porchetta. Un abbraccio.
RispondiEliminaParticolare e dal buon gusto, complimenti e interessante anche la storia.
RispondiEliminachapeau!
RispondiEliminaaltro che noioso, un post ricco di storia che fa sempre piacere conoscere! bravissima Giovanna!
e quel panino...echetelodicoaffà...me lo sto gustando purtroppo solo con gli occhi!
un abbraccio
a però che post Giovanna, complimenti, ricco di tanti ed interessanti informazioni. Sul panino che dire, sono romana quindo la rosetta l'adoro. Anche qui in umbria la porchetta è molto comune e risolve parecchi pranzi o cene.
RispondiEliminaun bacio
Miria
Grazie a tutti per quello che mi avete scritto!
RispondiEliminaArticolo davvero interessantissimo ricco di informazioni storiche e culinarie. Ti faccio i miei complimenti!
RispondiElimina