INGREDIENTI
Per i PICI
210 g di farina di grano tenero
150 g di semola rimacinata di
grano duro
180 ml di acqua tiepida
1 g di carbone vegetale
1 cucchiaino di semi di anice
1 presa di sale
1 cucchiaio di olio e.v.o.
Per il SUGO
1 piccione
60 g di rametti di ortica
1 pera (possibilmente la
picciòla dell’Amiata)
4 foglie di salvia
1 spicchio di aglio
1/2 bicchiere di aceto di mele e
lamponi
4 cipolline fresche
1 presa di sale
Olio e.v.o. q.b.
1 cucchiaino di amido di mais
1 cucchiaino di pepe rosa
40 g di panpepato senese
PREPARAZIONE
– Fate una fontana con le
farine, impastate e lavorate tutti gli ingredienti per 15 minuti, fino a
ottenere un panetto che lascerete riposare mezz’ora coperto con una ciotola.
– Nel frattempo togliete le
radici alle cipolle, lavatele bene sotto l'acqua corrente per togliere ogni residuo di terra e mettetele a bagno
in acqua.
– Tagliate invece le cipolle in
fettine sottili e fatele imbiondire nell’olio insieme alle foglie di ortica
staccate dai rametti e sminuzzate (usate guanti di gomma per maneggiarle). Aggiungete
la pera tagliata a pezzetti e, poco dopo, acqua sufficiente per una cottura di
10 minuti.
– In un altro tegame mettete
aglio e salvia in olio caldo e poco dopo unite il piccione intero, pulito e
fiammeggiato, e le sue interiora. Quando il piccione sarà rosolato, versate
l’aceto e fate evaporare.
– Togliete le interiora e il
piccione; ricavatene la polpa e tritatela. Rimettetela in tegame e unite il
preparato di cipolla, ortica e pere. Fate cuocere ancora qualche minuto finché
la carne sarà tenera, aggiungendo eventualmente un po’ di brodo ottenuto
facendo cuocere in acqua la carcassa del piccione. A pochi minuti dalla fine,
unite anche le interiora; sciogliete l’amido in acqua o brodo e unitelo al sugo
per ‘legare’.
– Per fare i pici, stendete il
panetto alto circa 1 cm, tagliatene strisce larghe di 1 cm e ‘appiciate’, cioè
rotolatene dei pezzetti sulla spianatoia con le dita e le palme delle mani,
tirandoli e allungandoli, fino ad ottenere una sorta di spaghettoni. Durante la lavorazione, tenete la pasta e i pici sulla spianatoia cosparsa di semola e
coperta con un canovaccio.
– Mentre i pici ‘riposano’,
tagliate a pezzetti il panpepato e mettetelo in forno a 190° per 10 minuti.
Quando è freddo, polverizzatelo in un mortaio o con un mixer.
– Mettete a cuocere i pici in
acqua bollente salata. Occorreranno 5 minuti.
– Nel frattempo prelevate le
radici di cipolla dall’acqua, risciacquatele, asciugatele bene e friggetele in
olio bollente.
– Condite i pici con il sugo
caldo, cospargeteli di pepe rosa e polvere di panpepato e decorate con
le radici di cipolla fritte.
Immaginate la vita di un
carbonaio dell’Ottocento o della prima metà del Novecento che per tanti mesi
all’anno vive lontano dal paese e dalla famiglia, per preparare e sorvegliare
la carbonaia, facendo attenzione che la legna sia quella giusta, che il
tiraggio funzioni sempre bene, praticando buchi, tappando e stappando,
rivestendo il cumulo di zolle, terriccio e foglie secche. E a fine giornata gli
occhi bruciano, la gola s’è fatta aspra e sulla pelle riarsa aderisce un velo di
fuliggine. Neanche nella capanna la polvere di carbone gli lascia tregua: un
pugno di farina sembra un pugno di cenere.
Il carbonaio era un piccolo
grande uomo che, isolato dal mondo, svolgeva un mestiere indispensabile per
l’economia dell’epoca, ma a cui la cultura popolare ha attribuito, con il
passare del tempo, una connotazione negativa. Così è stato in tutti i territori
boschivi della Toscana, in Appennino e sull’Amiata.
In questo XXI secolo che non sa
più che farsene del carbone vegetale, perché comunque, per quel poco che serve,
c’è il carbon fossile, l’immagine del carbonaio merita un omaggio. A modo mio,
glielo rendo con questo piatto, dove i pici, la pasta fatta a mano tipica del
senese e dell’alta Maremma grossetana, diventano grigi proprio grazie a un
pizzico di carbone vegetale, si accompagnano ad una pera picciòla dell’Amiata
che per tanti anni è stata, insieme alle castagne, una fonte di sostentamento
delle popolazioni della montagna, e si uniscono all’ortica, pianta ritenuta
benefica per la stanchezza muscolare e i reumatismi, che cresce spontaneamente
anche nelle radure dei boschi.
Ma poiché un carbonaio vegetariano mi sembra
quasi impensabile, ecco che arriva a completare questo piatto unico un piccione
cotto alla senese. Chissà se sarà mai capitato al nostro lavoratore di starsene
come il piccione che «seduto su un ramo riflette sull’esistenza»
(titolo di un film di Roy Andersson).
Corona l’apice del piatto un
ciuffo di radici di cipolla fritte, quasi uno sbuffo di fumo della carbonaia; e
a ricordo di quel terriccio che la ricopriva, ecco la polvere di panpepato, un
cibo energetico che pare si fossero portati in tasca i soldati senesi durante
la battaglia di Montaperti (1260, che ovviamente vinsero), con il suo intenso
profumo di spezie, ma anche di bosco, di legna, di radici indimenticabili e
indimenticate.
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