Passa ai contenuti principali

Minestra di riso e lampredotto


Riso e Toscana: una doppia importazione. La più antica fu quella dall’Oriente all’Europa e all’Italia, la più recente dall’Italia del Nord alla Toscana. Già alla fine del ’200 uno scrittore e agronomo italiano, Pietro de’ Crescenzi (Pier Crescenzio) definiva il riso «il tesoro delle paludi», con riferimento alla Val Padana dove il riso, giunto dall’oriente asiatico, si coltivava.

La seconda importazione, dal Nord in Toscana, avvenuta alla fine del ‘400, fu di tipo esclusivamente commerciale, ma due secoli dopo ebbe inizio la coltivazione nelle ‘marine’ di Pisa e di Lucca. Per molti secoli in questa regione le aree destinate al riso restarono minime; ma negli anni ’80 del secolo scorso, quando si aggiunsero le zone bonificate del senese e del grossetano coltivate a riso, dai 3 ettari iniziali le risaie arrivavano a occupare 100 ettari.

Una più larga diffusione ebbe inizio dieci anni dopo, quando nella Maremma grossetana, al confine con il Parco dell’Uccellina, in zone limitrofe al mare, tre famiglie dettero impulso a una coltivazione su più larga scala, finché nel 2000 la nuova generazione di quelle famiglie creò un’azienda destinata non solo alla coltura, ma anche alla commercializzazione del riso. Il marchio riso Maremma è a tutt’oggi l’unico esistente in Toscana.

Le fasi della coltivazione e la raccolta del riso sono completamente meccanizzate da oltre mezzo secolo, perciò in Toscana non è stata necessaria come nel Piemonte e nella Lombardia quella forza-lavoro prettamente femminile che va sotto il nome di mondine, le lavoratrici stagionali che ogni anno, dai primi del Novecento agli anni ’60 affluivano soprattutto nelle province di Vercelli, Novara e Pavia, e dove era insufficiente la mano d’opera locale.

Il lavoro di queste donne nelle risaie, con le gambe immerse nell’acqua, a piedi nudi e con la schiena curva, si svolgeva nel periodo di allagamento dei campi, da fine aprile a inizio giugno, e consisteva nel trapianto delle piantine e nella monda, cioè l’eliminazione delle erbe infestanti. Le pessime condizioni di lavoro e la disparità di trattamento salariale rispetto agli uomini, lo sfruttamento e l’assenza di diritti sul lavoro, portarono alla nascita del movimento delle mondine, dette anche mondariso, un movimento combattivo, radicale, che ricorse a proteste e scioperi, e che neppure il fascismo riuscì a controllare. Le mondine furono le prime donne a conquistare il diritto a ‘sole’ 8 ore di lavoro.

Con il pensiero a queste lavoratrici coraggiose, a cui si deve non solo la conquista di diritti sul lavoro, ma anche la diffusione del riso come alimento in tutta Italia – non dimentichiamo che nel mondo antico greco-romano il riso, l’Oryza sativa, era considerata solo una pianta medicinale – L’Italia nel piatto ha scelto come argomento del mese di marzo, in cui cade la Festa della Donna, proprio questo alimento. In Toscana “Riso e tradizione” (questo il titolo del tema) suggerisce moltissime ricette, ma io ho voluto dare la preferenza, più che a risotti o dolci, a un utilizzo che coniuga il riso a un altro alimento tradizionale, in particolare fiorentino, il lampredotto (uno dei quattro stomaci del bovino, l’abomaso), uniti in una minestra, che, al contrario dei risotti, è il tipo di piatto forse più antico che si preparava con il riso in Toscana.


INGREDIENTI per 4 persone

400 g di lampredotto già lessato (con sedano, carota, cipolla, prezzemolo e un pomodorino)
150 g di riso (ho usato il riso superfino Roma “Il Buon Riso”, adatto per minestre)
1 litro e mezzo di brodo di lampredotto
1 carota
1 gambo di sedano
2 cucchiai di passata di pomodoro o un cucchiaino di concentrato
¼ di cavolo verza
½ mazzetto di cavolo nero (opzionale)
Olio e.v.o.
Sale e pepe
Parmigiano grattugiato (opzionale)




PROCEDIMENTO

Tagliate a pezzetti il lampredotto già lessato, se preferite eliminando il grasso.
Fate rosolare nell’olio gli odori tritati (ma la carota va bene anche affettata) e la verza a filetti (se lo trovate anche il cavolo nero) e unite il lampredotto, salate e pepate.
Aggiungete la passata di pomodoro e dopo 5 minuti il brodo filtrato già caldo.
Quando bolle, unite il riso e portatelo a cottura.
C’è chi lo serve col parmigiano, ma io preferisco semplicemente una virgola d’olio.











Ed ora andiamo a scuRISOare, pardon, scuriosare, nella altre regioni italiane.


Trentino Alto Adige: Risotto al teroldego
Veneto: Risi e latte
Friuli Venezia Giulia: Budino di riso
Emilia Romagna: Risotto alla primogenita
Umbria: Riso e patate
Calabria: Riso e scariola

Commenti

  1. Che belle queste ricette tradizionali. Sto scoprendo tante gustose varianti davvero interessanti.

    RispondiElimina
  2. Non sai quanto volentieri assaggerei questo riso e soprattutto il lampredotto! Bacioni

    RispondiElimina
  3. Una minestra saporitissima con il lampredotto, ma quante belle proposte di riso questo mese!
    un abbraccio

    RispondiElimina

Posta un commento